In Food We Trust
“ Hai mai raccontato questo disagio a una persona amica?”
“ No”
“ Non credi che possa essere utile avere un alleato nel momento del bisogno?”
“ Sono troppo diversi da me”
Ci voleva la lucidità di una donna che ne soffre per srotolarmi davanti agli occhi una semplice verità: la bulimia nervosa si fa fatica a capire, a distinguere nei contorni dalla fame nervosa, da quell’esperienza che ognuno ha di mangiare in assenza di fame.
Quando anche specialisti di fama la definiscono impropriamente “un’anoressia mancata”, ti rendi conto che sì, è vero, tutti gli altri sono diversi.
E tu sola.
Gli altri sono normali. E la vorresti quella normalità, provi ad adeguarti a quella normalità. Li osservi mangiare a tavola tranquilli come fosse uno spettacolo indecifrabile.
Tu no, non puoi mangiare tranquilla: hai preso due chili con le ultime abbuffate, solo due, grazie al vomito, grazie a quell’ora di saltelli sul posto che ti sei inflitta.
Tu non puoi stare tranquilla con quei due chili di cui gli altri si sono sicuramente accorti.
Tu devi stare a dieta.
Lo devi fare per gli altri, così non penseranno più che sei incapace di controllarti .
Lo devi fare per te, perché se c’è una cosa che desideri è mangiare senza il pensiero di ingrassare, senza quel desiderio ingombrante di cibo, ma solo in base alla fame, che non riconosci più. E fermarti con la sazietà, ma non ricordi più com’è.
Guardi le amiche, ognuna nel proprio corpo: sembrano starci benissimo, che siano magre o formose, alte o bionde.
Quel cibo che nelle mani delle altre sembra inconsistente, quasi un vezzo, nelle tue mani, nella tua pancia, nella tua testa diventa un macigno.
Mangiare ti dilata, ti dilania, è il tuo veleno. Senti che ogni cosa che entra ti toglie le forze, le fa scivolare dalle braccia, l’ossessione invade il cervello, corrode la vista, confonde i pensieri, deforma l’immagine e la percezione di te. Senza forma e senza forze.
E al termine di tutto paralizza gli arti. Ferma e obbligata ad ascoltare parole di demolizione di te.
Non puoi stare così. Non puoi sopportare la pancia che tira, il respiro che non si espande, non puoi sentirti così enorme, non puoi credere di averlo fatto, ancora.
Devi azzerare tutto, in fretta, devi ricominciare daccapo: vomito, restrizione alimentare, saltelli sul posto, lassativi; a volte ne scegli uno, a volte tutti.
Devi controllarti, devi seguire un regime ordinato ed equilibrato. Rigidamente.
È l’unico pensiero che arriva a placare la tua disperazione, e allora tanto sbagliato non deve essere.
E invece il vero veleno è quel pensiero.
Per chi non ha un disturbo alimentare può avere senso rispondere agli eccessi alimentari con un certo rigore, ma per loro è diverso, loro sono diversi.
Per chi soffre di bulimia nervosa invece la restrizione alimentare, sia essa reale o anche solo pensata, è uno dei più potenti fattori scatenati dell’abbuffata (introduzione di cibo con perdita di controllo). Diventa fondamentale sapere contro chi combattere, in questo caso la rigidità alimentare e non l’atto di mangiare.
“Conosci il nemico come conosci te stesso, se farai così nemmeno in cento battaglie ti troverai in pericolo” ¹
A volte è difficile realizzarlo in questi termini, perché durante alcune fasi del disturbo capita, in modo del tutto fortuito, che si riesca ad evitare l’abbuffata e ci si senta finalmente capaci di restringere l’ alimentazione. In realtà, in quei momenti, l’assenza dell’abbuffata non dipende dall’acquisizione di un’abilità specifica per fronteggiare il problema, e per questo è difficile che duri, mentre la presenza del fattore scatenante della restrizione farà prima o poi ripiombare nel circolo vizioso “restrizione – perdita di controllo – restrizione”.
“Non contare sul mancato arrivo del nemico, ma fai affidamento sulla capacità di affrontarlo” ¹
Non esiste guarigione senza consapevolezza, e allora diventa importante conoscere l’anatomia dell’abbuffata.
I pensieri sabotatori e le sensazioni fisiche che la predispongono. I fattori che la scatenano e le fanno acquisire forza, come la restrizione alimentare.
I comportamenti di compenso che mantengono il circolo vizioso.
Perché non si tratta di un comportamento dettato dalla nostra debolezza, ma di un meccanismo tipico del disturbo, uguale per chiunque ne soffra. E, come ogni meccanismo, può essere sabotato se sappiamo dove mettere le mani.
“Quando il nemico è unito, dividilo” ¹
La terapia che funziona è quella che fa perdere forza all’abbuffata attraverso un piano alimentare non restrittivo e gestito in modo elastico, e, al contempo, fa acquisire un controllo sano e duraturo attraverso il rafforzamento dell’autoefficacia (la sensazione di farcela), che si conquista ponendosi degli obiettivi adeguati e scoprendo di riuscire a raggiungerli. Con questi presupposti anche la terapia psicologica diviene molto più efficace.
“Renditi invincibile e attacca il nemico solo quando è vulnerabile. Non attaccare per dimostrare la tua forza, ma attacca solo quando la tua forza può essere applicata” ¹
E al controllo sano, quello che deriva dall’ autoefficacia e dalla consapevolezza, e non dall’ansia e l’autoaggressività che nascono dalla rigidità di una restrizione, seguirà la vera guarigione.
Non quando si potrà fare a meno del cibo, ma quando si sarà liberi di mangiare.
“Sconfiggere il nemico senza combattere è la massima abilità” ¹
(¹ ): citazioni da “L’arte della guerra” di Sun Tzu
foto: “Into you ” di Klara Kristalova