Storie di Ordinaria Anoressia
È dell’amica magra che parlo, quella che non è mai stata grassa eh, ma forse ultimamente ha perso qualche chilo ulteriore? D’altronde è così indaffarata! Lo studio, la danza, il pianoforte e come se non bastasse il lavoro del fine settimana.
Con una vita così dove lo trova il tempo per mangiare? Beata lei che non fa fatica a mantenere la linea, e come le stanno bene i pantaloni!
Lei che è sempre un po’ malaticcia – un herpes oggi, una cistite domani – e ha il ciclo irregolare.
Lei che non ha mai fame fuori pasto, lei a cui non piacciono i dolci, va matta per la pizza, ma non la può mangiare ché non la digerisce.
Lei che mangia eh, solo che si sazia subito.
Lei che dichiara la fame solo quando non può saziarla.
Il male non è mai eclatante agli inizi; comincia modestamente, umilmente. Ha come ausiliari l’indifferenza e un certo, diffuso senso estetico che riconosce nella magrezza un valore aggiunto.
Lei che arriva da me in ambulatorio perché non digerisce più nulla, io che le chiedo cosa mangia, la storia del suo peso, l’andamento della digestione, e poi analizzo la composizione corporea e mi rendo conto che è malnutrita e disidratata.
Le spiego che deve mangiare di più e meglio, le dico come, la avviso che aumenterà di peso – necessariamente, visto che deve recuperare idratazione e massa cellulare – e lei diventa rossa, si irrigidisce, forse perde per un attimo il controllo e dice bruscamente “No guardi, io non sono venuta per aumentare di peso”.
Ecco il punto.
Il punto non è il comportamento, ma quello che succede se si paventa l’ipotesi di cambiare quel comportamento, ed è la rigidità che interviene nel caso di un disturbo dell’ alimentazione ad essere il vero campanello d’allarme.
Esistono le magre vere, e mangiano pure spontaneamente poco, ma magari mangiano di tutto e se si tratta della loro salute non hanno problemi ad aumentare di peso. Chi soffre di un disturbo come l’anoressia o una sindrome parziale invece fatica ad a accettare che qualcosa interferisca col controllo del peso, anche se quel qualcosa è la propria salute, e costruisce un efficace castello di scuse fatto di impegni improrogabili e limiti organici (cattiva digestione, intolleranze, allergie) che proteggano la propria restrizione alimentare, arrivando a confondere la gabbia di imporsi una rigidità alimentare con la libera scelta di mangiar poco.
E i rischi per la salute che seguono a una restrizione alimentare costante associata a una malnutrizione evidenziabile dall’ analisi della composizione corporea con bioimpedenza unitamente a un peso mantenuto cronicamente più basso di quello naturale, riguardano il sistema immunitario, la meccanica digestiva, lo stato delle ossa e alterazioni metaboliche per iniziare.
Incasso il “No”, cambio apparentemente discorso, inizio a chiederle se le capita di cucinare spesso cibo per gli altri, collezionare ricette, bere molto caffè e the, avere un umore basso che confonde con la stanchezza, ridotta memoria o capacità di concentrazione, insonnia, ipotermia.
Colleziono una serie imbarazzante di “Sì”.
Apro un manuale alla pagina che riporta i Sintomi della Sindrome da Digiuno individuati col Minnesota Study nel 1954, sono gli stessi che ho appena elencato con le domande e ne legge altri in cui si riconosce: diminuzione del desiderio sessuale, irritabilità, isolamento sociale.
Le racconto dei 36 obiettori di coscienza dello studio, giovani uomini fisicamente e psicologicamente sani che per 6 mesi ridussero l’introito alimentare e persero peso e, solo per questo, senza nessun desiderio di dimagrire, sviluppavano preoccupazione per il cibo, aumento della fame e precoce senso della sazietà. Proprio come lei.
Lei che realizza che tutto quello che pensa e fa relativamente al cibo non è una scelta, ma è indotto dalla restrizione alimentare accompagnata da perdita di peso; è l’inizio di un cambiamento o anche solo la possibilità che questo avvenga.
E non è poco.
Foto: Installazione di Berelinde De Bruyckere